FARE MUSICA – 8

NEROLUCE – STORIE DI MUSICA AL DETTAGLIO (4)

I concerti non mancavano e, a risentire ancora oggi alcune registrazioni live, devo dire che eravamo una buona rock band. Se date un’occhiata ai video che trovate in questo post (e negli altri che hanno numero pari), vi potete fare un’idea.

Neroluce: patchwork video di live girati tra il 2002 e il 2007 – quarta parte

 

Ci trovavamo a suonare nelle situazioni più disparate, riuscendo però sempre a “portare a casa” la serata. Non avevamo monitor rivolti verso di noi. Usavamo giusto un piccolo amplificatore come spia per il batterista che, altrimenti, avrebbe avuto seri problemi a sentire la voce. A volte avevamo un amico che ci aiutava a fare i suoni, altre volte ci arrangiavamo. Avevamo un impianto voce nostro che conoscevamo abbastanza bene, quindi riuscivamo a mantenere una qualità di suono abbastanza costante, anche quando il locale non aveva un’acustica eccezionale.

 

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Neroluce live

 

Le scalette dei concerti si erano ormai concentrate quasi esclusivamente su cover: se volevi fare roba tua le possibilità di suonare dal vivo si riducevano drasticamente a pochissimi locali, manifestazioni o concorsi (magari quelli del tipo: più porti gente e più vinci).

Le birrerie erano la piazza più battuta per una piccola rock band come la nostra e il più delle volte le serate erano buone. Non mancavano i casi in cui ci trovavamo di fronte a persone troppo ubriache per apprezzare cosa stessimo suonando. Ad esempio ricordo un tizio che ci ringraziava per aver suonato “Gloria” dei Doors; tentai invano di spiegargli che in realtà la canzone non era dei Doors ma di Van Morrison. Per tutta risposta quello mi biascicava: «Siiiii… il fratello di GGGIIIMMM…». Eh vabbè… è stato bello, s’è fatto tardi, dobbiamo finire di smontare… Ciao!

 

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Mirko alla chitarra

 

A volte capitava di ritrovarsi a discutere con l’esercente di turno per ricordare quali erano i patti, ma era abbastanza raro, perché avevamo imparato sia a scegliere i locali che a fare chiarezza da subito, per evitare “incomprensioni”.

Ad ogni modo avevamo raggiunto un affiatamento tale per cui se qualcuno della band perdeva un colpo gli altri erano pronti a recuperare senza far trasparire nulla al pubblico. Tranne quella volta in cui decidemmo di improvvisare un paio di brani per tenere caldo il pubblico: cominciammo con Message in a Bottle dei Police, un brano non proprio dei più semplici che però venne fuori davvero bene, nonostante non l’avessimo provata. Forti di questo risultato ci lanciammo subito dopo in un medley improvvisato tra Twist and Shout e La Bamba, due brani che condividono gli stessi 3 accordi e che di certo non hanno lo stesso grado di difficoltà di Message in a Bottle… ancora oggi non sappiamo cosa sia successo, ma ad un certo punto io, Mirko e Pierpa ci trovammo a fare ognuno un accordo diverso, inseguendoci per recuperare l’assetto giusto. Per fortuna la gente era troppo ubriaca per capire cosa stesse succedendo e, a nostra discolpa, possiamo dire che era Capodanno, suonavamo ormai da quasi 4 ore di fila e neppure noi eravamo troppo lucidi.

 

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Dalla mano sinistra che cerca l’armonica in tasca direi che stavamo suonando “Poor boy blues” dei Poison.

 

Un’altra volta invece ricordo di aver dimenticato l’asta del microfono a casa. Se oltre a cantare suoni la chitarra diventa proprio difficile fare un concerto senza asta. Ci vennero in soccorso un paio di amiche (fans di McGyver) che riuscirono a confezionarne una di fortuna utilizzando il flessibile di una doccia, un treppiede e del nastro adesivo.

Per un lungo periodo prendemmo a suonare con regolarità in alcuni locali in cui tornavamo praticamente ogni mese. Quindi, avendo necessità di variare spesso la scaletta, mettevamo costantemente in cantiere nuove cover, fino ad avere almeno una sessantina di brani da far ruotare di volta in volta.

 

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Jeff alla batteria

 

Una nota dolente erano i giorni e gli orari in cui si suonava. Se il concerto capitava di sabato, nessun problema, ma la maggior parte delle volte si suonava in settimana e il giorno dopo si andava a lavorare. In un disco pub in montagna in cui eravamo di casa, l’orario di inzio concerto si spostava sempre più tardi. All’inizio si cominciava attorno alle 22:30 e, dopo un po’ di mesi, l’orario si era spostato tra mezzanotte e mezza e l’una. Considerando che i nostri concerti superavano abbondantemente le due ore, la cosa richiedeva un discreto impegno. Certo, suonare aiuta a bruciare le tossine, a scaricare le energie pesanti, fa bene alla socializzazione e ti fa sentire in armonia. Insomma, ha un sacco di vantaggi, ma bisogna anche ricordarsi che, finito il concerto, ti tocca smontare tutto, caricare l’attrezzatura in auto, farti magari una o due ore di viaggio e, una volta arrivati a casa, scaricare tutto. Se poi (come accennato prima) il giorno dopo devi andare a lavorare, allora sei a posto. Ma come si dice… il Rock non è roba per “signorine”.

 

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Pierpa e alle spalle Jeff

 

Nella prossima puntata: Tentare il salto nel mondo della discografia

 

 

 

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